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“L’affiorare dei ricordi. Arturo Martini si racconta al Museo Luigi Bailo”
Ciclo di video in sei episodi  a cura di Paola Bonifacio, per un’inedita modalità di scoperta e lettura del patrimonio civico. Francesco Cevaro è Arturo Martini. Riprese di Giulio Grespan.

24 febbraio 2021

6) L'opera d'arte viene da sé

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Scomodo agli artisti, ai critici e ai mercanti per le sue idee estetiche, Arturo Martini alterna sempre di più i momenti di autoesaltazione ma anche, soprattutto, di autodenigrazione, tanto da arrivare addirittura a dire all’amico Scarpa, che compiutamente lo annota: “L’artista è un mucchio di errori: ho una profonda ripugnanza per la mia opera”.
Vi aggiungerà, però, una riflessione, fondamentale per comprendere il pensiero e il profondo dibattito interiore dell’artista:“…Non mi importa niente della mia opera. Mi importa della scultura”. Da qui prende le mosse La scultura lingua morta, il volumetto in cui Martini evidenzierà proprio la crisi, i dubbi, l’amarezza, che lo spingono a credere sempre meno nell’arte cui ha dedicato l’intera vita: la vede decaduta, privata della ragione d’essere che aveva presso gli antichi: “..Sembra che la scultura –  dirà ancora Martini - non abbia un linguaggio infinito come le altre arti…perché – si domanderà, e lo farà fino alla fine - non vive autonoma, non parla in tutte le cose create?”   


17 febbraio 2021

5) Maturità

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Arturo Martini prosegue il suo racconto ricordando gli anni più ricchi di soddisfazione, con le importanti commissioni artistiche, le sempre nuove esigenze di sperimentazione, i dubbi costanti mescolati, come sempre, anche ai ricordi personali. Continua immodestamente a scrivere a Natale Mazzolà da Firenze, dove ha conosciuto Ardengo Soffici e il suo gruppo di artisti: “Vedo chiaro e la mano risponde nel tono giusto…i giganti non sono ancora morti e se la vita mi assiste sarò uno dei più tremendi…”.  Ma poi dirà anche : “…Vendere una scultura è come attraversare la Manica senza saper nuotare e cercare poi sulla riva opposta il compratore”.  In queste riflessioni scopriamo la complessità dell’uomo con gli umori altalenanti, l’autoreferenzialità e subito dopo i dubbi, che periodicamente si riaffacciano, nella ricerca costante di trovare una strada soddisfacente per una scultura moderna e vera, assimilabile a quella degli Antichi.   


10 febbraio 2021

4) Ricerche e scoperte

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Nel periodo della Prima Guerra Mondiale Martini studia e si confronta con grande impegno lavorando molto, con vigore e rabbia, con “..l’ entusiasmo e l’ energia di chi crede troppo o troppo poco in se stesso”.  È talmente concentrato che non mangia per giorni, oppure si nutre solo di latte “…cinque litri al giorno… una tazza ogni trenta minuti ”: questa particolare abitudine lo accompagnerà sempre, d’ora in avanti, quando sarà impegnato nella creazione di un’opera importante.  Intanto, in questo periodo realizza anche l’avveniristico e unico suo “libro muto”, con incisioni di carattere decisamente astratto, dal titolo emblematico “Contemplazioni”. Un lavoro che pare riassumere in sé la sua già personale riflessione sull’arte  –  e, quindi, sulla scultura -  dominata, sempre di più da questo momento in avanti, dall’ansia di ritrovarla in una condizione di purezza e integrità il più possibile assoluti, “ inconsapevoli”. “Per quale ragione – scrive – ritengo perfetto il mio libro, il bianco e nero dei punti? Perché con gli spazi creo un ritmo al mio movimento d’anima. La ripetizione serve a togliere il valore di contingenza, il significato terreno dell’oggetto, affinchè esso diventi un assoluto”.

 

3 febbraio 2021

3) Tra Venezia e Monaco

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Natale Mazzolà, amico e poi collezionista di Arturo Martini, così lo descrive all’epoca del soggiorno a Monaco, quando l’artista vi si reca intorno ai vent’anni:  “…Magro, serio, vestito di nero, con viso e occhi indimenticabili, il volto affilato, di carattere impetuoso, contraddittorio, talvolta ruvido e anche un po’ spavaldo, costituzionalmente e per formazione nient’affatto portato al savoir faire e all’arte di conquistare la simpatia del prossimo […]”. Il ritratto coevo del giovane Martini che ci restituisce lo studioso Guido Perocco, che gli dedicherà la prima vera monografia, indulge invece meno sugli aspetti esteriori e caratteriali, soffermandosi maggiormente sulle già notevoli qualità dello scultore: “… Egli si rivela un artista d’eccezione, forza viva della terra italiana, tipico genio popolare, non toccato dalla cultura o dai preconcetti intellettuali e neppure, vorremmo dire, da particolari regole estetiche”.


27 gennaio 2021

2) Giovinezza

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Il giovane Martini trova fondamentale sostegno nell’abate Luigi Bailo, direttore del Museo Civico di Treviso, che, a proposito della sua arte, in formazione ma già originale e votata alla sperimentazione, sottolineerà: “ ..la materia per sé sola è cosa matta, solo il pensiero è sostanza, solo il pensiero crea, e l’artista deve essere creatore di cose nuove, delle quali è sempre avida l’anima umana”. Arturo diciottenne stringe amicizia con il pittore Gino Rossi (Venezia 1884 – Treviso 1947), più vecchio di lui di cinque anni. Insieme espongono alla Prima Mostra d’Arte Trevigiana di Palazzo Spineda nel 1907 e poi, ancora insieme, vanno a Parigi nel 1912 e nel 1914-15. Rossi è un esempio folgorante per il più giovane scultore, poiché sostenitore della necessità di rinnovamento dell’arte veneta, a partire dal 1908 con la partecipazione alle mostre di Ca’ Pesaro, poi alla Secessione di Roma nel 1914 e alla Mostra d’arte trevigiana del 1915. Arturo, di carattere impulsivo e irruento, dimostrerà talvolta gelosia verso il più tranquillo e gentile Gino Rossi, arrivando anche a trattarlo un po’ bruscamente, pur riconoscendogli, sempre, i caratteri innovativi di un'arte pionieristica e l'innegabile talento.

20 gennaio 2021

1) Sulla famiglia

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Arturo Martini ci accoglie nella sezione del museo dedicata alle sue prime opere, confidandoci l’origine modesta e i suoi ricordi di bambino, già affascinato dalle forme semplici, evocative e poetiche, ispirate al Natale. A proposito della sua infanzia, così profondamente connaturata al suo essere artista, Giuseppe Mazzotti rievocherà un episodio significativo: “Dietro il Duomo di Treviso sorge una torre che fu abitata da Arturo Martini bambino. Essa ha una grande finestra, da cui, un giorno, il piccolo Arturo si sporse e cadde. Si salvò aggrappandosi ad un filo di ferro che miracolosamente lo sorresse … [Egli] era sicuro di aver visto in quel momento un angelo protendersi verso di lui in un folgorante alone di luce. In questa immagine da ex voto si può ritrovare la vena più autentica dell’arte di Arturo Martini”.

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